Plumcake salato

Era da molto tempo che volevo cimentarmi in un plumcake salato, da grande appassionata del salato in generale mi ero un po’ stufata delle solite torte salate fatte con pasta sfoglia o brisée, mi andava qualcosa di diverso.

Ingredienti:

100 g di farina

100 g di parmigiano grattugiato

1/2 bustina di lievito per torte salate

un uovo

80-100 ml di latte

salame (o pancetta) a cubetti a piaceree

olio, sale, pepe q.b.

 

Procedimento

Setacciare la farina e il lievito, aggiungere il parmigiano grattugiato, il salame (o pancetta se preferite) tagliato a cubetti e mescolare tutto. Aggiungere un filo d’olio, appena appena. Sbattere a parte un uovo con sale, pepe, altre spezie a scelta e il latte: si noterà che non sono stata troppo precisa con la quantità di quest’ultimo, mi sono persa un attimo nella preparazione… Ma si può semplicemente usarne un po’ per sbattere l’uovo, e aggiungerlo in un secondo momento, quando si amalgamano il primo composto con le uova, mescolando bene e ottenendo un impasto morbido ma “colloso”, non troppo liquido. Imburrare poi uno stampo da plumcake dove andrà versato l’impasto, livellandolo, e infine cuocere in forno già caldo a circa 180° per una mezz’oretta, tenendo d’occhio che non si bruci sotto e facendo la prova della cottura interna con lo stuzzicadenti. Lasciar intiepidire, togliere dallo stampo e servire.

Il risultato, devo dire, mi ha lasciata piuttosto soddisfatta. Forse l’ho cotto troppo in fretta, quindi mi si è colorato troppo fuori e cotto un po’ meno del dovuto dentro, ma come primo tentativo, va’, io non mi lamento.

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Salutiamo l’inverno

Salutiamo l’inverno che ormai se ne è andato, celebrandolo con l’ultimo dono di stagione: il radicchio tardivo. E come gustarlo se non in un primo piatto, dato che la mia socia Monia ed io adoriamo i primi piatti.

Prepariamo dei tagliolini di pasta fresca all’uovo, di uno spessore concreto sotto i denti, da cuocere bene al dente. E li condiamo con del radicchio tardivo di Ttreviso, tagliato a tocchetti e fatto stufare in un goccio di brodo vegetale. Insaporendo poi con una punta di pepe nero. Quando il brodo sarà evaporato, aggiungiamo generosi cucchiai di formaggio fresco spalmabile, la cui caratteristica principale deve essere la cremosità. Allunghiamo con un cucchiaio d’acqua di cottura della pasta, per ottenere un sugo cremoso, e facciamo sciogliere il formaggio nelradicchio a fuoco lento, facendo così evaporare l’acqua che abbiamo aggiunto.

Saltiamo i nostri tagliolini con il radicchio, quindi cospargiamo con parmigiano e poco prezzemolo tritato. Il primo è pronto. Ultimo sapore di una stagione che ormai non c’è più.

Il feedback, il riscontro, quella roba lì

Il mio socio Taglia, che è bravo e fa un sacco di cose buone anche senza di me, ha postato tempo fa sul suo blog questa ricetta di torta di carote : fantastica! Ero giusto in cerca di un’idea di un dolce non troppo pesante ed elaborato per la colazione, che dopo un po’ sempre gli stessi biscotti stufano abbastanza.

Così ho provato, con alcune piccole variazioni: gli ingredienti sono sostanzialmente gli stessi, solo ho diminuito leggermente le dosi di burro (80 g) e di zucchero (70 g), aumentando invece la quantità di ripieno, mettendo un bel po’ di nocciole e mandorle tritate, e scaglie di cioccolato.

Vi dirò, ho decisamente esagerato col ripieno, ne andava benissimo anche molto meno, ma il risultato si lasciava mangiare 🙂

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Che buoni i cappellacci

Qunto sono buoni i cappellacci, c’è poco da fare, un primo piatto che conquista, io ne sono innamorato, e me li ha fatti conoscere la ragazza di cui sono innamorato. Meglio di così 🙂 Se non si è di Ferrara, o non si ha avuto la possibilità di fare un giro in città, il nome cappellacci a molti dirà poco.

Il cappellaccio è un tortellino (nella forma) molto più grande, ripieno di zucca, che si condisce con il ragù (io non amo ravioli o tortelli conditi con il pomodoro, ma qui il matrimonio è perfetto) o burro e salvia. Una pasta ripiena che ricorda i tortelli di zucca di Mantova, ma le differenze ci sono, eccome. Il tortello mantovano nel ripieno, oltre alla zucca, ha amaretti e mostarda. Un primo incontro con il palato è stuzzicante e piacevole, ma alla lunga l’elaborato ripieno stanca, fin quasi a rendersi stomachevole (infatti il connubio con il ragù non è possibile, troppo carico sarebbe il piatto). Il cappellaccio ferrarese invece vien fatto in purezza: zucca e noce moscata per dare un tocco in più che vivifica la zucca con un tocco speziato, ma rende il cappellaccio leggero, il gusto puro ed equilibrato. Non ci si stancherebbe mai di mangiare.

Questa purezza e semplicità però impongono attenzione e rigore: il ragù che condirà i nostri cappellacci non deve essere scadente, pena l’aver rovinato tutto. Ingredienti selezionati, cura nel prepararlo, evitare eccessive untuosità (ecco qui come Monia ed io prepariamo i ragù). Va da sé poi che la zucca deve essere di prima scelta, dato che tutto il gusto del piatto si concentra proprio attorno ad essa.

Penso di aver trovato un buon equilibrio nella preparazione dei miei cappellacci, da farsi in semplicità e condire con un gustoso ragù, oppure – e questa è la mia variante – olio e salvia per godere appieno della purezza dei sapori che, manco a dirlo, vengono esaltati se si condivide il piatto con chi si ama.

Torta leggera al cacao e cioccolato

Io amo i sapori puri, i gusti semplici, mangiare cose che sanno di quello, e non di un mix indefinito ed indefinibile. Mi piace il cioccolato fondente perché si sente il vero sapore del cacao, ma non amo molto le torte al cioccolato perché c’è sempre qualche elemento di disturbo: le uova, o ancora di più il burro, con quel suo sapore invadente e pesante.

E’ stato con entusiasmo, quindi, che trovando una ricetta per una torta al cacao priva di uova e burro l’ho provata. Il risultato è un pane dolce al cacao, qualcosa di molto simile, nell’impasto, al panone di Natale. Fantastico, lasciatemi dire. Si sente solo il sapore del cacao, del cioccolato, e basta. E’ un sapore puro e semplice, di quelli che mi piacciono tanto. Tenete presente che con la ricetta originale che ora vado a scrivere, l’impasto sarà proprio come il pane, comprese piccole bolle d’aria, buchetti di “vuoto” all’interno. Io, che sono una vera porcella, ho pensato bene, la seconda volta, di aggiungerci del cioccolato fondente in scaglie tagliato a coltello. Che ha riempito tutti i buchi egregiamente!

Ingredienti:

200 g di farina

100 g di zucchero

1/2 bustina di lievito

250 ml di latte

50 g di cacao amaro

100 g di cioccolato fondente (la mia aggiunta, come dicevo sopra)

Preparazione: semplicissima.

Mescolare in una terrina lo zucchero, la farina, il cacao (setacciatelo magari, sennò fa tutti i grumi) e il cioccolato tagliato a scaglie (se vi restano pezzi grossi buttate tutto dentro senza paura, che poi sentirli sotto i denti quando mangiate la torta non è certo un dispiacere) con il latte aggiunto pian piano. L’impasto sarà dapprima un po’ “roccioso”, ma vedrete che man mano che aggiungerete il latte risulterà una massa molto collosa ma tutto sommato già piuttosto appetitosa da vedere! Per ultimo mettete il lievito, meglio se setacciato anch’esso. Trasferite tutto nella tortiera con carta forno e dritto in forno già caldo. Cuoce in mezz’ora. Se poi la lasciate dentro a finire di cuocere e raffreddare, lasciando che la natura faccia il suo corso, non solo avrete un aroma naturale e delizioso di cioccolato sparso per tutta la casa, ma vi godrete anche molto di più il sapore.

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Eccola qui: perfetta per colazione, merenda, riempibuco a fine pasto, SEMPRE!

(Mi scuso per la qualità delle foto, mi sembravano più belle sullo schermino della digitale!)

Panini alle olive

In questi giorni di brutto tempo, neve e freddo, cosa c’è di meglio dello stare chiusi nella propria casetta, mettere le mani in pasta e spargere per la casa un delizioso profumo di pane? Beh, ci sono alcune cose meglio che mi vengono in mente, ma ognuno fa quel che può per scacciare la tristezza, ed io ho fatto questo.

Per fare il pane alle olive, se cercate su internet, troverete tante ricette diverse quanti sono i blog di cucina. Io, come sempre, ho dato un’occhiata a varie fonti, compreso un libro di cucina che ho in casa sui pani e i vari impasti, e poi alla fine ho fatto come mi pareva a me! La differenza non sta tanto negli ingredienti quanto nella lavorazione. Per dire, ho trovato una ricetta nel libro (per panini allo speck, ma credo cambi poco) in cui, dopo aver impastato, si lascia riposare tutto per 10 minuti, si incorpora speck e burro, si rilavora, si fanno le pallette e si fanno riposare altri 30 minuti prima di cuocerli in forno. Mh.

La mia famiglia ha una tradizione da generazioni e generazioni per la focaccia. Da noi si chiama “pinzone”, è una focaccia con un impasto tipo pizza molto lievitato. Siamo bravi da decenni in questa cosa. E allora, che ho fatto io? Ho applicato quella lavorazione ai panini alle olive. E adesso vi dico come ho fatto e che ne è venuto fuori.

Ingredienti:

500 g di farina

25 g di lievito di birra

250 ml di acqua tiepida

1/2 cucchiaio di sale

la punta di un cucchiaio di zucchero

un cucchiaio di olio e.v.o.

350 g di olive

1/2 bicchiere di latte tiepido

Preparazione:

Fare la fontana con la farina: al centro mettere l’olio, lo zucchero e l’acqua in cui avrete sciolto il lievito di birra. Distribuire il sale all’esterno, mescolare dal centro verso l’esterno ed impastare pian piano fino a quando vi è possibile (più si impasta, meglio gli ingredienti si distribuiscono , più il calore delle vostre mani aiuta la lievitazione a partire col piede giusto!) fino ad ottenere una bella pallotta di pasta elastica. Lasciare lievitare in ambiente caldo e non ventilato per 30 minuti. Passato questo tempo, in cui intanto avrete scolato le olive e le avrete tagliate a pezzettini, incorporate le olive all’impasto e cominciate a formare delle palline delle dimensioni medie fra la pallina da golf e quella da tennis, bagnandole con un po’ di latte tiepido per renderle un po’ più morbide. Sistemare le palline sulla teglia con carta forno e lasciar lievitare al caldo per altre due ore. Vedrete che le palline aumenteranno del loro volume, quindi sistematele ben distanziate fra loro. Passate le due ore, cuocete in forno già ben caldo per mezz’oretta circa. L’odore parlerà da sé, e in ogni caso date un’occhiata alla parte di sotto, che non si colori troppo.

Il risultato è questo:

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considerate che, come vedete, non si colorano molto di sopra (o almeno i miei non l’hanno fatto), quindi non fate affidamento su quello, per la cottura. Il mio socio Taglia mi suggeriva, per farli un pochino più dorati, di spennellarli prima di metterli in forno con olio diluito in un po’ d’acqua. Ma a me per ora interessava che fossero buoni. E lo erano! Sono spariti abbastanza in fretta da farmi capire che anche gli altri hanno apprezzato!

Una piccola nota: dopo di questi, ho provato panini con il medesimo procedimento, a cui però invece delle olive ho unito dell’origano. Buonissimi, ma ho due considerazioni da fare:

1. senza le olive, già parecchio saporite di loro, ho dovuto aggiungere più sale all’impasto, arrivando fino ad un cucchiaio intero;

2. i panini con l’origano mi sono venuti molto più morbidi, quelli alle olive più croccanti. Io non so se dipenda semplicemente dall’umidità, dal tempo, o se abbia anche a che fare con quel po’ di salamoia in cui le olive erano conservate, se anche quella abbia influito. Non so, io vi dico le cose come stanno, le conclusioni le farà qualcuno più bravo di me.

Tajarin con seppie e il loro nero

E’ vero, fa caldo, ma alla pasta io non so rinunciare, specie ad un buon piatto di pasta fresca all’uovo fatto in casa. Ho preparato i tajarin (tagliolini molto sottili), specialità piemontese che ho provato per la prima volta a Torino, in un locale intimo e curato, in compagnia della mia socia Monia 🙂 . In quell’occasione erano preparati al sugo con salsiccia di Bra e patate. Molto buoni. Essendo caldo io ho optato per una ricetta più leggera, più ancorata alla tradizione veneziana, che vede come protagonista la seppia. La preparazione dell’intingolo non è complicata (vedi post precedente), il gusto ricco ma non pesante, anzi. Eccoli:

Seppie “in tocio” con il nero

Per quanto riguarda il pesce sono un purista: niente aglio, o in dosi limitate. E il niente vale soprattutto per la seppia. Non ha senso alterarne il sapore con l’aggiunta di un elemento forte, invadente, come l’aglio.

Se la seppia è nostrana e fresca (le buone seppie di media-piccola pezzatura dell’Adriatico – ma lo stesso vale anche per quelle grandi francesi dell’Atlantico) ha un tale sapore già di suo che non ha bisogno di altro, anzi, ogni aggiunta in più ne mortifica il gusto, alterandolo, mascherandolo, coprendolo.

Questa perciò è la mia ricetta: possiamo azzardare un fondo di cipolla bianca, poca però, quasi invisibile, da far ben sudare con un goccio d’olio di oliva. Aggiungiamo poca acqua per far appassire la cipolla e successivamente mettiamo le seppie tagliate a pezzi. Si fa rosolare e si bagna con un goccio di vino bianco secco e leggero. La seppia rilascerà la sua acqua, se non fosse sufficiente per far cuocere, aggiungere una punta di delicato brodo vegetle. Si fa andare a fuoco moderato per 10 minuti, quindi mettiamo il nero contenuto nelle vesichette della seppia. A piacere una punta di pomodoro. Sale e pepe bianco e almeno altri 20 minuti di cottura. Se necessario qualche altra goccia di nero.

Accompagnare con polenta appena fatta o ai ferri. Ciò che avanza (se avanza qualcosa il giorno dopo) costituisce un ottimo condimento per tagliolini, o spaghetti, o come base per un risotto.

Le polpette

La polpetta nasce come piatto di recupero, un modo gustoso per evitare di buttare arrosti o bolliti avanzati. La carne veniva tritata o tagliata finemente al coltello, quindi si componeva una farcia usando: uova, aromi ed erbe a piacere (noce moscata, prezzemolo, cipolla, aglio, porro, rosmarino ecc), parmigiano grattugiato (o altro formaggio), sale e pepe, pane lasciato in ammollo o nell’acqua (io preferisco) o nel latte. Il tutto ben amalgamato. Dalla farcia si ottenevano delle palline (o si dà loro la forma che si preferisce) da far poi cuocere. Oggi si usa il macinato: mix di manzo e maiale, solo manzo o solo maiale, vitello, pollo, coniglio, arricchite con salsiccia o fegatini, e via così, in base a ciò che si preferisce o a quello di cui si ha voglia.

I metodi di cottura sono diversi, tutti ugualmente eccezionali. Qui abbiamo l’esempio della mia socia Monia che, con le sue polpette al sugo con funghi porcini, introduce un metodo originale e personale, facendo prima scottare le polpette al forno, ultimandone poi la cottura con il sugo.

Oppure, altro metodo, dopo averle passate nella farina o, ed è come faccio io, nel pangrattato, le si frigge.

E per ultimo un altro piatto ghiotto: le polpette scottate in padella con olio caldo, appena hanno fatto il crostolo su tutti i lati, si completa la cottura con del sugo di pomodoro e foglie di basilico fresco. Pronte le polpette al pomodoro. Da mangiarsi così, come secondo – pane sempre a portata di mano, oppure fette di polenta ai ferri – o validissimo intingolo per la pasta. Scegliere il formato che più ci stuzzica, io amo gli spaghetti grossi, cottura 11 minuti.

Peperon-melanzanata

Profumo d’estate, profumo di casa, casa mia, profumo di verdura fresca, olio e pane fragrante. Ricordi d’infanzia legati ad un piatto che da me si è sempre fatto e si continua a fare: la nonna, la mamma, io. Una ricetta semplice con verdura di stagione: peperone, melanzana e sedano dell’orto.

Il piatto è veloce e saporito, un ideale accompagnamento per secondi di carne o pesce, ma buono da mangiarsi anche da solo, con fette di altrettanto buon pane (il pugliese è quello che preferisco), possibilmente sporcate con olio extra vergine di oliva.

Bisogna tagliare a pezzi piuttosto grossi peperoni (rossi, gialli e verdi – in foto: avevo in casa solo i rossi) e melanzane, perché altrimenti in cottura la verdura si spappola diventando un purè, gusto e risultato allora non saranno più gli stessi. Prepariamo un fondo con cipolla bianca tagliata a fettine sottili, da imbiondire in olio di oliva. Mettiamo la verdura a tocchi e aggiungiamo un gambetto di sedano intero, ma di piccole dimensioni. Scottiamo le verdure in modo che rilascino la loro acqua, e proseguimo la cortura a fuoco basso aggiungendo, se necessario, poco brodo vegetale, magari un po’ per volta. Sale e pepe. Cottura lenta e prolungata, in modo che peperoni e melanzane risultino ben morbidi. Alla fine un giro generoso di olio di oliva. Se piace un’erba aromatica: prezzemolo e/o basilico tritati.

  • Il segreto per la riuscita del piatto sta certamente nella freschezza delle verdure usate (specie per la melanzana), ma soprattutto nella possibilità di reperire del sedano piccolo e gustoso, io ho quello dell’orto della nonna, fa fare un decisivo salto di qualità alla ricetta.